Zibaldone
In questa rubrica riporteremo tutto ciò che è poesia, lettere, pensieri filosofici, racconti storici, proverbi popolari, saggi e brevi racconti che abbiano come traccia usi e costumi gastronomici dei marchigiani.
Piccoli accorgimenti per una colazione
di Pasqua tradizionale marchigiana
MENU’
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Vincesgrassi (piatto delle grandi ricorrenze) o tagliatelle al ragù marchigiano o primo in brodo per chi ha fatto la colazione pasquale;
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Agnello al forno o coniglio in porchetta con le patate;
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Ciambelle e pizza dolce di pasqua.
DETTI POPOLARI
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“Canta la merla sulla cerqua nera, stacete allegre è primavera
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“Tira el vento de sabbeto santo, quillo regna tutto l’anno”
PARTICOLARITA’ DELLA FESTA PASQUALE ERA LA “COLAZIONE PASQUALE”
(si teneva dopo la messa a digiuno)
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Tovaglia bianca ricamata a mano;
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1 bicchiere in più per il profeta Elia;
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Pizza al formaggio;Frittata con mentrasto (mentuccia) (a Serra San Quirico vi si aggiungeva anche qualche goccia d’acqua benedetta);
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Salame (ciauscolo), salsiccia di fegato, lonzino;Coratella d’agnello (a Matelica anche la “testarella”);
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Pane cotto a legna;
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Vino della “chiavetta” (vino nuovo);
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Uova sode, benedette dal prete, dipinte nelle più svariate maniere dai bambini.
L’ASTINENZA
L’astinenza del venerdì santo veniva rispettata fino alle 11 del sabato quando si scioglievano le campane (i bambini erano dispensati).
<<I tartufi erano la predilezione grandissima di Rossini, il Maestro invitava a desinare i personaggi più influenti di Parigi. E poiché ridurre i tartufi in minutissime fette era, secondo lui, una faccenda assai importante, andava da se in cucina e da sé li preparava >>.
(F.Cecchi, Rossini, Barbera, p.105)
<<…Trovai la collezione delle vostre opere completa da tutti i lati: e meco ne gustarono l’interiore maestria quanti ebbero la sorte di deliziarsi nella finezza delle vostre famigerate manipolazioni. Non pongo in musica le vostre lodi poiché, in tanto strepito del mondo armonico, mi mantengo ex-compositore. Buon per me e meglio per voi! Voi sapete toccare certi tasti che soddisfano il palato, giudice più sicuro dell’orecchio.>>
Gioacchino Rossini
(Da una lettera al celebre sansamentario Bellentoni di Modena, scritta da Firenze nel dicembre 1853)
<<…Lasciamo l’arte e veniamo alla materia che tanto prevale sulle attuali generazioni!!! Vorrei vi portaste dal vostro celebre Bellentani, salsamentario, e lo pregaste di spedirmi a Parigi al mio indirizzo, nel momento che l’aquila estense crederà conveniente, otto cappelli da prete, sei zamponi e dieci cotechini di diverse dimensioni. Totale: 24 brillanti maialeschi. Vorrei pure la relativa istruzione per la maniera di cuocerli secondo le nostre abitudini. Darò gli ordini opportuni al mio agente in Bologna, Gaetano Fabi, per pagarne l’importo. Voi foste ognora il mio provveditore diligente e spero che anche in questo incontro vorrete guadagnarvi un diritto di più alla riconoscenza del vostro>>
Gioacchino Rossini
(Da una lettera al maestro Angelo Catelani di Modena, scritta da Parigi nel dicembre 1865)
Opera buffa
“Dopo il non far nulla, io non conosco occupazione per me più deliziosa del mangiare, mangiare come si deve, intendiamoci. L’appetito è per lo stomaco ciò che l’amore è per il cuore.
Lo stomaco vuoto rappresenta il fagotto o il piccolo flauto, in cui brontola il malcontento o guaisce l’invidia; al contrario, lo stomaco pieno è il triangolo del piacere oppure i cembali della gioia.
Quanto all’amore, lo considero la prima donna per eccellenza, la diva che canta nel cervello cavatine di cui l’orecchio si inebria e il cuore ne viene rapito.
Mangiare e amare, cantare e digerire: questi sono in verità i quattro atti di questa opera buffa che si chiama vita, e che svanisce come la schiuma di una bottiglia di champagne.
Chi la lascia fuggire senza averne goduto, è un pazzo.”
Gioacchino Rossini
“A morte la minestra”
Metti, o canora musa, in moto l’Elicona
e la tua cetra cinga d’alloro una corona.
Non già d’Eroi tu devi, o degli Dei cantare
ma solo la Minestra d’ingiurie caricare.
Ora tu sei, Minestra, dei versi miei l’oggetto,
e dirti abominevole mi porta gran diletto.
O cibo, invan gradito dal gener nostro umano!
Cibo negletto e vile, degno d’umil villano!
Si dice, che resusciti, quando sei buona, i morti;
ma il diletto è degno d’uomini invero poco accorti!
Or dunque esser bisogna morti per goder poi
di questi benefici, che sol si dicon tuoi?
Non v’è niente pei vivi? Si! Mi risponde ognuno;
or via su me lo mostri, se puote qualcheduno;
ma zitti! Che incomincia furioso un tale a dire;
ma presto restiamo attenti, e cheti per sentire:
“Chi potrà dire vile un cibo delicato,
che spesso è il sol ristoro di un povero malato?”
E’ ver, ma chi desideri, grazie al cielo, esser sano
deve lasciar tal cibo a un povero malsano!
Piccola seccatura vi sembra ogni mattina
dover trangugiare la “cara minestrina”?
Giacomo Leopardi
Incontro con l’ebreo Mardocheo e la bella Lia
Nel 1772, a Sinigallia, tre poste lontano da Ancona, Casanova prende come compagno di calesse, l’ebreo Mardocheo e questo incontro ci fornisce l’occasione di avere un interessante quanto raro spaccato di quelle che erano le tradizioni gastronomiche ebraiche del tempo e la loro convivenza con quelle cristiane.
“All’ora di pranzo lo invitai a mangiare con me ed egli mi rispose che la sua religione non glielo permetteva, e che per questo motivo mangiava soltanto uova, frutta e salame d0oca che aveva in tasca”. Il salame d’oca è un tipico mangiare originario degli ebrei di Ancona e viene preparato con una ricetta molto antica anche nelle altre comunità ebraiche.
La tradizione vuole che i salami d’oca, profumati al pepe garofolato, siano preparati nella stagione fredda non più tardi di gennaio per poter essere pronti per il periodo di Pesach. Anche per il vino le regole casher sono ed erano molto rigorose. Sia in passato che oggi, bere vino e mangiare cibi casher vuol dire bere e alimentarsi solo con cibi purificati e ammessi dalla religione ebraica: “Il superstizioso bevve acqua perché, mi disse, non era sicuro che il vino fosse puro. Dopo pranzo, nella carrozza, mi disse che se volevo alloggiare in casa sua e accontentarmi di mangiare cibi che Dio non ha proibito, mi avrebbe fatto mangiare più delicatamente e più voluttuosamente e a miglior prezzo che all’albergo, solo in una bella stanza sul mare…”. “Non mi darete che sei paoli al giorno, e vi farò servire pranzo e cena, ma senza il vino”. “Ma mi farete cuocere tutti i pesci che mi verrà voglia di mangiare, e li comprerò a parte, s’intende”. “Stà bene”.
Ho una fantesca cristiana e d’altra parte mia moglie sta sempre attenta alla cucina. “Mi darete tutti i giorni del fegato d’oca, ma a condizione che ne mangerete anche voi in mia presenza. “So quel che pensate. Ma sarete soddisfatto”.
La precisazione di Mardocheo voleva rassicurare il nobile cavaliere sul fatto che la diceria che gli ebrei avvelenassero i cristiani era del tutto infondata. La condizione di mangiare cibo preparato da un ebreo, solo dividendolo con lui, per il timore di essere avvelenato, darà al nostro ganimede l’occasione di piacevolissimi incontri galanti. Infatti ben presto scoprirà che in famiglia dell’ebreo solo la bellissima figlia Lia mangiava fegato d’oca e così a lei si rivolge: “Ma il fegato d’oca vi piace?”. “Molto, e oggi ne mangerò con voi a quel che mi ha detto mio padre. Avete forse paura di essere avvelenato?”. Niente affatto. Al contrario desidero che moriamo insieme”. La furba Lia fece finta di non capire il suo discorso e lo lasciò ardente d’amore e di desideri. All’ora di pranzo fu servito un menu “tutto di grasso all’uso ebraico, Lia venne lei stessa col fegato e si sedette senza cerimonie davanti a me con uno scialletto sul bel seno.
Il fegato era squisito e, poiché non era grande, lo mangiammo tutto bevendoci sopra vino di Scopolo che Lia trovò ancora migliore del fegato”. Come sappiamo, al Casanova piacevano assai le donne ghiottone e ben presto scoprì che Lia lo era d’avvero.
Questo fatto non solo diede a Giacomo il piacere di avere un’ottima e deliziosa compagna di tavola, ma anche all’astuto ebreo Mardocheo la possibilità di raddoppiare il costo del pranzo. Ecco la scena: “Dissi a Mardocheo che l’appetito della figlia raddoppiava il mio e che mi avrebbe fatto piacere se le avesse consentito di mangiare con me tutte le volte che avremmo avuto del fegato d’oca. Mi rispose che proprio perché ella raddoppiava il mio appetito a lui non conveniva, ma che sarebbe rimasta se volevo pagare il doppio, cioé un testone di più. Questa conclusione mi piacque infinitamente.
Gli dissi che accettavo la condizione e gli regalai una bottiglietta di Scopolo che Lia gli garantì purissimo”. Dunque Lia e il bel Giacomo pranzarono insieme. A fine pasto furono portate in tavola le paste e le composte fatte all’uso ebraico e del buonissimo Moscato di Cipro.
Non sempre gli ebrei seguivano in modo ortodosso le rigide regole casher della loro religione, e la bella Lia ce ve offre un significativo esempio il giorno dopo.
A Casanova, questa volta, fu servita una squisita cena di magro tutta secondo gli usi dei cristiani. “Pranzammo in grande allegria. Mi furono serviti crostacei e frutti di mare che la sua religione proibisce, la incitai a mangiare e le feci orrore, ma essendosi la fantesca allontanata, ella ne mangiò con una voluttà sorprendente, assicurandomi che era la prima volta in vita sua che godeva di quel piacere”.
Giacomo Casanova
“Il contadì fadiga e stenta el meio pasto suo è la polenta”
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